Ti Ho Trovato

by Angelica Gregorini

Era iniziata come una strana sensazione di pericolo, se avessi davvero avuto dei capelli mi si sarebbero rizzati sulla nuca; ma fu elettrizzante provare qualcosa che non fosse disorientamento o noia dopo quindici anni di solitudine e allora mi ci aggrappai con tutta la forza della mia mente.

Mi ritrovai in un posto chiuso, con le pareti scrostate dal tempo e delle grandi scalinate sulla mia sinistra, il pavimento era in parte saltato, le piastrelle rotte e consumate dal tempo e dall’umidità.

Una città non ricostruita”, pensai e continuai a guardarmi intorno, per quanto la fitta nebbia dell’Haettudo mi permettesse.

Dritto davanti a me c’era una donna con una veste nera e logora, era appoggiata al corrimano di una delle scalinate e mi sorrideva fingendo di ansimare.

Mi bastò uno sguardo a quegli occhi giallo ambra per capire di chi si trattasse.

Feci per avanzare, ma non ero davvero lì, non avevo davvero un corpo; la mia stessa anima probabilmente si trovava a chilometri di distanza.

La mia mente stava guardando attraverso gli occhi di qualcun altro, anche se non riuscivo a capire come fosse possibile.

In ogni caso intuii che non dovevo permettere alla persona che abitava quegli occhi di cadere nella trappola della Iena. Chiunque essa fosse rappresentava per me la speranza di abitare un corpo e di tornare a camminare tra i vivi; non potevo permettere che morisse.

Perciò mi concentrai, a metà tra il disperato ed il furioso urlai nella sua mente: “Finge, non sorridere, colpisci”, e mi sentii talmente sfinito che rischiai di perdere la presa ed essere risucchiato dove la mia anima stava vagando.

La persona obbedì, si scagliò in avanti e poi non riuscii a vedere più nulla.

Ero tornato dalla mia anima.

Urlai per la frustrazione, ma ovviamente non c’era nessuno che potesse sentirmi o consolarmi.

Mi riscossi, non potevo permettermi di perdere tempo, non sapevo se ci sarebbe mai stata un’altra occasione per tornare e non aveva senso restare con le mani in mano.

Ripresi a vagare tra il grigiore nella speranza di percepire ancora quella sensazione che mi aveva trascinato dentro quella mente; magari accorciando le distanze sarebbe stato più facile, ma in realtà non avevo di nuovo idea di dove dovessi andare.

Non so per quanto andai avanti in quel modo, forse solo qualche minuto, ma mi sembrò un’eternità e poi eccolo di nuovo: pericolo e paura.

 

Nel mio campo visivo c’era ancora la donna, stavolta rannicchiata a terra in posizione d’attacco e fissava un punto che sembrava poco distante dal mio punto di vista; seguii la traiettoria dei suoi occhi e trovai accasciato a terra il corpo di un uomo con ancora stretta una siringa nella mano.

Di nuovo intuii la situazione: era in atto uno scontro tra una Iena ed un Errante, quello abbandonato contro il muro era il corpo dell’Errante e la Iena lo stava puntando.

All’improvviso la donna volò via e rotolò più lontano; sentii il panico pervadere il corpo di cui ero ospite.

Cercai di metterlo da parte per capire dove si trovasse; accantonai tutti i suoni inutili tra cui quello martellante del suo cuore e lontano udii qualcosa che poteva essermi utile.

Uno scrosciare regolare, senza pause contro le vetrate luride alle mie spalle.

Avrei sorriso se avessi potuto, avevo vinto; avevo capito in quale emisfero si trovava e poteva bastare; ora la mia preoccupazione tornava al mantenerlo in vita.

Tornai a guardare il corpo dell’uomo a terra e vidi luccicare una cintura con dei coltelli da lancio.

“Il coltello, prendi un coltello”, ordinai e l’ospite obbedì senza esitazione.

Avrei voluto ordinargli di pugnalare quel corpo in modo tale da liberarci della presenza dell’Errante, ma non ne ebbi le forze; come la prima volta parlare nella sua mente si era rivelato estremamente faticoso, ma ora sapevo che uno dei motivi era certamente la distanza che ci separava.

Da quanto avevo capito, durante il mio peregrinare nello Haettudo, non mi ero mai mosso dall’emisfero sud di Ardesia; attraversare l’oceano mi era sembrato un inutile spreco di energie e volevo evitare di avvicinarmi al vortice non sapendo cosa sarebbe potuto succedere.

Ora però era una necessità e l’avrei fatto senza pensarci due volte pur di riavere quello che mi spettava.

Prestai poca attenzione alle vicende che ci accadevano intorno, cercavo di cogliere qualche indizio sull’identità della persona che avrei dovuto cercare, ma non c’era nessuna superficie riflettente, tutto ciò che ci circondava era coperto da uno spesso strato di polvere.

 

Una forte ondata di panico pervase il corpo e richiamò la mia attenzione; la donna sanguinante si era lanciata di nuovo verso il corpo dell’Errante.

Il mio ospite scattò in avanti senza pensarci troppo e si frappose tra la Iena e la forma solida dell’Errante con il piccolo coltello puntato in avanti.

 

E allora lo vidi, riflesso nella lucida lama che teneva stretto in pugno scorsi il suo viso.

Corti capelli rosa malva, sporchi e scarmigliati, lineamenti adolescenziali in cui iniziava a spuntare la spigolosità della pubertà, un mento leggermente pronunciato e le guance scarlatte per lo sforzo e la tensione.

Ma non fu da questi dettagli che lo riconobbi.

Quello che richiamò la mia attenzione fu la dissonanza tra gli occhi: uno nero come la pece, nero come i miei, e l’altro di un prepotente viola acceso.

Di certo non avrei avuto difficoltà a trovarlo, quell’occhio era frutto di un maleficio di cui ero in parte responsabile.

Sentivo la vittoria in mano, ora non mi restava altro da fare che trovare mio fratello.