I Nuovi Arrivati
by Angelica Gregorini
Ahmya arrivò all’alba come promesso; Akito le trotterellava alle spalle con un grosso zaino che ogni tanto gli faceva perdere l’equilibrio.
Odi era radiosa per la gioia, il bambino però sembrava non aver ben compreso la differenza tra una persona sorda ed una persona muta, di conseguenza per rivolgersi a lei urlava a squarciagola e sua sorella arrivava subito a sgridarlo, mormorando scuse a mia madre che rideva divertita.
Akito si rivelò essere sorprendentemente bravo ad andare a caccia per avere soli sei anni, il suo animale affine era una volpe; per questo ogni sera una piccola volpe nera e spennacchiata tornava all’accampamento con qualche animaletto in bocca che noi potessimo cucinare.
Ahmya si prese cura di mia madre in modo eccellente; le ci vollero soli tre giorni per riprendersi quasi del tutto. Io le stavo accanto e le traducevo quello che mia madre aveva da dirle, la maggior parte delle volte erano ringraziamenti o osservazioni su quanto suo fratello fosse un bambino simpatico ed educato.
A volte mia madre provava a farle dei complimenti sul suo aspetto, ma quelli mi rifiutavo di tradurli o li indirizzavo sulle sue competenze mediche ignorando il disappunto di mia madre.
Come si fa a dire ad una ragazza che ha davvero un buon profumo se si vive in una tenda e si è sempre sporchi e bagnati fradici?
Ma Odi non aveva torto, Ahmya si portava sempre addosso l’odore delle erbe che usava per i suoi infusi e ormai riuscivo a riconoscerlo quando il vento soffiava nella direzione giusta.
Per il resto non avevamo altre interazioni, a differenza di suo fratello che si divertiva a restare seduto con noi a chiacchierare dopo i pasti, lei si ritirava nella loro tenda a leggere uno dei suoi libri.
Quando riprendemmo il cammino passò la maggior parte del giorno a rincorrere suo fratello che si allontanava spesso dal gruppo, finché mia madre non decise di prenderlo per mano ed insegnargli qualche parola nel linguaggio dei segni indicando oggetti vari per fargli capire di cosa stesse parlando.
Akito prese quelle lezioni molto seriamente; la sua parola preferita era “pietra”, la gesticolava a mia madre, ne prendeva una e me la lanciava in testa.
La cosa positiva fu che iniziai a sentir di nuovo ridere Gotaro.
I due bastardi si erano alleati e dovevo sempre tenerli d’occhio per non cascare in una delle loro trappole.
Sì, trappole; Akito e mio fratello si mettevano d’accordo e la piccola volpe spesso scavava una buca sotto il mio sacco a pelo, dato che la sfacchinata della giornata mi lasciava stremato, non mi accorgevo della buca e mi ritrovavo incastrato con tutto il sacco a pelo e le ginocchia praticamente in bocca.
Il numero degli esseri più fastidiosi al mondo era salito a due.
Una sera c’era Ahmya di ronda e dopo aver sentito le mie urla era entrata nella tenda; ero incastrato nella buca a gambe all’aria e stavo sbraitando dalla rabbia; lei scoppiò a ridere e mi aiutò ad uscire dalla trappola.
«Gli dirò di smetterla», disse ridendo mentre mi tirava su: «Mi dispiace davvero», ma non riusciva a smettere di ridere; immaginai il colorito della mia faccia in quel momento, non eravamo mai stati così vicini ed era stato tremendamente imbarazzante guardarla mentre mi rideva in faccia.
«Ti sei fatto male?», mi chiese dopo aver riguadagnato un po’ di contegno, le borbottai un “No” cercando di non incontrare il suo sguardo.
Era più bassa di me, la sua fronte mi arrivava al petto e mi stava guardando dal basso; se possibile mi sentii arrossire ancora di più.
Poi fece un passo indietro e si guardò intorno mentre io riprendevo fiato:
«Quelli cosa sono?», mi chiese indicando la piccola pila di manga accatastati in un angolo della tenda; io e Gotaro avevamo perso il conto delle volte in cui li avevamo letti e riletti.
Mi avvicinai al mucchio e ne presi uno a caso: «Sono manga», le dissi e glielo porsi, lei lo prese incuriosita, lo aprì, ma io la fermai: «Si leggono al contrario», le dissi per poi togliere di scatto la mano dalla sua; lei mi guardò di nuovo incuriosita e riprese a sfogliare il manga, dal verso giusto stavolta.
«Che strano», mormorò, poi tornò a guardarmi con i grandi occhi scuri: «Posso prenderlo in prestito? Giuro che me ne prenderò cura…
«Certo!», balbettai; lei sorrise.
«Sai, anche io ho qualche libro che ti potrebbe interessare; non leggo solo manuali di medicina», la guardai sbalordito e mi sentii tremendamente stupido perché immaginai quell’espressione sul mio volto.
«Ah, davvero?», che idiota; lei rise e mi fece cenno di seguirla.
Mi fermai davanti l’entrata della sua tenda e lei mi disse di entrare, mi si formò un groppo in gola ed obbedii; rannicchiato nel sacco a pelo sul lato sinistro della tenda, davanti al fuoco, c’era Akito che dormiva beato; fui tentato di assestargli un calcio sul sedere ma ritenni non fosse il momento più adatto.
«Ci penso io domani, non ti preoccupare», disse lei che aveva letto la mia espressione, mi sorrise e mi indicò quattro libri impilati accanto all’altro sacco a pelo: «Scegline uno!», mi disse; non so che libro presi, non ne lessi neanche il titolo; l’unico pensiero che mi ossessionava era la sua presenza alle mie spalle ed il suo profumo che impregnava l’aria dentro quella tenda.
Da quella sera iniziammo a scambiarci i pochi libri che avevamo, avevo iniziato a raggiungerla nella sua tenda dopo cena per dirle le mie impressioni sulle nostre letture; lei non si mostrava mai infastidita, anzi, se non mi vedeva arrivare capitava che venisse lei nella mia tenda, con grande sorpresa di Gotaro.
Era Akito a non essere entusiasta, spesso seguiva sua sorella o, quando ero io ad andare da loro, cercava di restare sveglio il più a lungo possibile a guardarmi in cagnesco.
Presto però sia i libri che i manga finirono.
Fu allora che Ahmya ebbe un’idea.