La Donna

by Angelica Gregorini

Trascorremmo una settimana al riparo nel centro commerciale abbandonato, io e Gotaro andammo a recuperare altri manga che divoravamo ogni sera prima di andare a dormire; Odi non ci rimproverò mai, nonostante ormai andassimo a dormire molto tardi; probabilmente era contenta, non capitava spesso che andassimo così d’accordo ed era meno bacchettona ora che dormiva meglio.

Con il passare dei giorni Akio si faceva sempre più irrequieto,  aveva iniziato a comunicare con la mamma solo con il linguaggio dei segni e s’interrompeva bruscamente quando uno tra me o Gotaro si avvicinava.

«Che problemi ha adesso?», chiesi scocciato a Gotaro mentre lo sorreggevo per aiutarlo a prendere altri manga da uno scaffale un po’ più difficile da raggiungere.

«Cosa intendi?», mi chiese a sua volta, lui non faceva caso a queste cose.

«C’è qualcosa che non va Gotaro, con noi parla a malapena; si è messo addirittura a seguirci quando veniamo a prendere i libri…

«Manga, Sakküra; si chiamano manga!

«Come ti pare, ascolta la parte importante di quello che ti dico dannazione!», sbuffai scocciato e persi per un secondo la presa sui suoi fianchi.

«Ma sei impazzito?», mi sbraitò lui contro mentre con una mano si teneva stretto ai miei capelli.

«E mollami, imbecille!», gli urlai contro a mia volta, lui fece per ribattere; aveva strappato una ciocca dei miei capelli che gli sventolava rosea nel pugno chiuso, mi massaggiai il punto pulsante dove li aveva staccati quando sentii una risatina alle nostre spalle.

Ci voltammo insieme per individuarne l’origine e ci trovammo davanti una figura sconosciuta con una mano sulla bocca.

Indossava una mantella logora dalla vita stretta che lasciava intravedere un corpetto nero, anch’esso logoro, da cui spuntava il colletto di una camicia morbida che doveva essere stata bianca in origine, ma ora era marroncina di sporco; un ampio cappuccio le copriva la testa, ma lasciava intravedere il viso ovale e candido con due brillanti occhi giallo ambra.

La donna era di corporatura snella, con un paio di stivali al ginocchio che avevano visto sicuramente tempi migliori in cui erano infilati un paio di pantaloni nero opaco, se ne stava placidamente appoggiata allo stipite fantasma che era stato l’ingresso del negozio; quando incrociò i nostri sguardi si mise dritta in piedi e cercò di darsi una sistemata alla mantella zuppa.

«Salve ragazzi, mi dispiace avervi disturbato, sembrava vi steste divertendo…», un sorriso si aprì sul suo viso, ma né io né Gotaro ricambiammo.

Eravamo stati ben addestrati per quanto riguardava gli sconosciuti, vidi infatti con la coda dell’occhio che Gotaro si stava portando lentamente la mano al collo, dove sotto il maglioncino stracciato si trovava il fischietto delle emergenze.

Lei portò le mani in avanti come per rassicurarci: «Stiamo calmi ragazzi, questo posto non è di nessu…

Gotaro fischiò con forza, lo afferrai per un polso ed insieme ci arrampicammo in fretta su per il lato opposto a quello in cui si trovava la donna; mentre aiutavo mio fratello a salire incontrai lo sguardo dorato e furioso di lei che sputava qualche impropero tra i denti e si lanciava verso di noi.

Mantenni la presa salda sul polso di Gotaro, facemmo il giro dell’edificio in senso antiorario; ci ritrovammo davanti alle scale dell’ingresso:

«Dividiamoci, dobbiamo arrivare alla mamma il prima possibile, il primo che la trova deve portarla via!», disse Gotaro con il fiato grosso mentre si lanciava sulle scale metalliche arrugginite.

«Vai avanti, io la distraggo.

«Non fare l’idiota, corri!», urlò Gotaro ormai arrivato sulla cima delle scale; in quel momento alla mia destra arrivò la donna, si appoggiò spavaldamente al corrimano della scala, mi lanciò uno sguardo stupito e disse: «Caspita se correte ragazzi! Uff, non pensavo di essere invecchiata tanto accidenti!», mi guardava sorridendo.

Finge, non sorridere, colpisci, disse perentoria una voce aliena nella mia testa, rimasi sconcertato e mi voltai verso Gotaro immobile sulla cima delle scale che guardava a turno me e la donna.

Lei si ricompose subito e fece un passo verso di me allargando di nuovo le braccia per lasciar intendere che non aveva cattive intenzioni, quel movimento le scoprì una lunga fila di coltelli da lancio, che prima non avevo notato, appesi al corpetto; lanciai uno sguardo a Gotaro e lei fece lo stesso.

Ne approfittai, mi lanciai verso la donna e le sferrai un destro sul naso con tutta la forza che avevo in corpo; Gotaro colse l’occasione e si avviò di corsa verso il negozio di materassi dove ci eravamo accampati.

La donna cadde a terra con un tonfo sordo, in un attimo le fui addosso, le strappai via la cintura con i coltelli e corsi in avanti senza pensare davvero a dove stessi andando; se avessi avuto fortuna e se quel pugno l’avesse fatta incazzare come speravo, avrebbe seguito me e non Gotaro.

«Pezzo di merda!», la sentii urlare mentre si rimetteva in piedi il più in fretta possibile ed iniziava a corrermi dietro.

Ero arrivato davanti al vecchio negozio di attrezzatura da pesca quando una mano mi afferrò il braccio e mi tirò dentro; un’altra mano mi si serrò con forza sulla bocca; alzai gli occhi ed incrociai quelli grigio argento di mio padre.

Rilassai le spalle e lui mi lasciò andare portandosi un dito alle labbra, con la lingua dei segni lo avvisai che era una donna e che credevo di averla disarmata, per dimostrarglielo gli porsi la cintura con i coltelli da lancio, lui annuì e se l’infilò con un unico movimento del braccio; mi indicò il tumulo di rifiuti alle nostre spalle e capii che mi sarei dovuto nascondere lì, eseguii l’ordine muto; il suo sguardo era rimasto tutto il tempo fisso sul corridoio da dove si sentivano i passi pesanti della donna che si stava avvicinando, prese una siringa dal cinturone.