Un Grottesco Sposalizio

by Angelica Gregorini

Mio padre incrociò il mio sguardo, tirò un profondo respiro ed iniziò il suo racconto:

 

«Come sai io sono nato a Summa, nell’emisfero sud di questo pianeta maledetto. Summa è un paese particolare con un’organizzazione politica altrettanto strana. Lì non c’è un vero governo, ma il popolo è tenuto insieme dalla religione. Una religione che ha delle regole molto severe. Tua madre non è originaria di Summa, lei è nata ad Otra, dove la religione non è così opprimente sulla popolazione. La mia famiglia faceva parte di una setta di fanatici estremisti; quando hanno saputo che intendevo sposare una donna di “fuori” hanno dato di matto, ma alla fine hanno ceduto a patto che si mantenessero le tradizioni del nostro credo», mio padre fece un profondo respiro e mi guardò negli occhi come se si aspettasse qualche domanda.

Sapevo che non vi avrebbe risposto e rimasi in silenzio; lui accennò un altro sorriso e riprese: «La setta della mia famiglia mira ad ammettere solo ed esclusivamente membri disposti a tutto pur di soddisfare la divinità che venerano; anche la cerimonia matrimoniale mira a questo, soprattutto se uno degli sposi non è originario della setta.

 

Ho fatto di tutto per evitarlo, per scappare e sposare tua madre lontano da quel gruppo di malati, ma non me l’hanno permesso. Ci hanno trovati e trascinati nel loro covo», si fermò di nuovo, la sua voce aveva un tono strano che non gli avevo mai sentito, sembrava fosse sull’orlo delle lacrime.

«Ci hanno teso un’imboscata e poi ci hanno tenuti prigionieri mentre preparavano il necessario per la cerimonia; dovevamo ritenerci fortunati a non essere stati uccisi. I disertori non venivano perdonati, ma mio padre era un esponente importante e gli permisero di tenermi in vita.

Imprigionarono anche mia madre, lei ci aveva aiutati a scappare; non era un’estremista come mio padre e mi aveva cresciuto rifiutando segretamente la maggior parte dei princìpi della setta.

 

Mi chiesi che fine avessero fatto i miei nonni, ma non ebbi il coraggio di chiederglielo guardando i suoi occhi che diventavano sempre più lucidi.

Quando ricominciò a parlare la sua voce era incrinata dal pianto: «Avrei fatto di tutto per evitare a tua madre di vivere quell’esperienza terribile, ma me l’hanno impedito e lei si rifiutava di lasciarmi e farsi una vita lontana da me e da quei pazzi furiosi. Non so dirti per quanto tempo ci avessero tenuti chiusi in quel buco maledetto, ma tua madre non si perse mai di spirito; era lei a tenermi in vita, eravamo in celle separate ma lei mi parlava giorno e notte, mi rassicurava, mi diceva che mi amava; ma non avrei mai potuto ricambiarla nel modo adeguato dato che la stavo costringendo ad accettare una faccenda orribile.

A lei non importava; era troppo tardi, mi diceva.

Era mia e la cosa non sarebbe cambiata.

Niente l’avrebbe mai allontanata da me.

Poi arrivò il momento.

Ci trascinarono fuori dalle nostre celle, ci lavarono, impomatarono e vestirono seguendo passo passo le loro tradizioni di merda. Quando mi spinsero sull’altare avevo la nausea, ma poi nella stanza entrò tua madre; la creatura più perfetta che questo mondo maledetto avesse mai visto, era vestita di bianco ed oro; ai capelli le avevano intrecciato una corona di rami dorati che contrastava con il verde scuro dei suoi capelli. Quella vista mi rese disperato; in che cosa l’avevo cacciata? Perché la stavo condannando a quella vita? Perché dovevo sporcare la sua purezza, spegnere la sua luce?», grosse lacrime gli rigarono il viso; ormai singhiozzava tra una parola e l’altra, con timore mi avvicinai a lui e gli posai una mano sulla spalla. Non sono mai stato bravo a consolare ed ero anche spaventato dalla debolezza che mio padre mi stava mostrando. Non l’avevo mai visto così umano.

«Avrei tanto voluto che voi poteste sentire la sua voce», disse guardandomi negli occhi disperato: «Anche la più stupida delle parole, detta da lei era una melodia», abbassò lo sguardo mentre un altro singhiozzo gli scuoteva il corpo.

«È colpa mia se non avete mai avuto questa possibilità, è colpa mia se tutti voi state vivendo questa vita del cazzo!», esclamò battendosi i pugni sulle cosce, strinsi la presa sulla sua spalla ma lui mi spostò con dolcezza: «Non proverai compassione per me quando avrò finito di raccontare, Sakküra», si ricompose, si schiarì la gola e riprese:
«La cerimonia matrimoniale della setta prevede che ognuno degli sposi sacrifichi una parte delle sue origini. Più precisamente qualcosa che appartenga ad un genitore.

Mio padre trascinò mia madre davanti a noi per i capelli. Lui sapeva che io non avrei mai avuto la forza di farlo e non gl’importava, l’avrebbe fatto lui per me perché mia madre meritava una punizione per avermi aiutato a fuggire. La strattonò di nuovo fino a farla inginocchiare davanti a lui.

Ammiravo il coraggio di mia madre, in tutta quella scena non aveva emesso un fiato anche se sapeva benissimo a cosa stava andando incontro», mi appoggiò una mano sulla guancia in una leggera carezza, poi riprese il racconto: «Mio padre le sfondò lo sterno con un colpo di manico del pugnale, fu lì che mia madre ed Odi urlarono per la prima volta; dovetti trattenere la mia sposa per evitare che mio padre le facesse fare la stessa fine.

Quell’uomo di merda infilò metà del braccio nel petto di sua moglie e con uno scossone le strappò il cuore, questo emise altri due battiti e si fermò.

Prese una coppa da terra e vi spremette il sangue che restava nel cuore di mia madre, poi lo porse ad Odi in lacrime. Lei lo bevve cercando di fermare i conati di vomito.

Poi mio padre uscì di scena per rientrare pochi secondi dopo trascinandosi dietro un corpo esanime.

Tua madre urlò di nuovo e poco dopo capimmo che quella sarebbe stata l’ultima volta che avremmo sentito la sua voce.

Era tua nonna materna quella che veniva trascinata verso di noi e a giudicare dal colorito del suo corpo doveva essere morta da un paio d’ore. La portò verso di noi, le tagliò la gola e raccolse il sangue in un’altra coppa che mi porse. Non so dove trovai il coraggio di incrociare lo sguardo di tua madre, si era accasciata a terra e mi guardava tra le lacrime, ma da lei non usciva più nessun suono. Ingurgitai quel liquido denso maledicendo il giorno in cui ero nato. Fummo costretti a vivere con loro per altri cinque anni, finché non riuscimmo a fuggire; ma da quel giorno dannato tua madre non riuscì più a dire una parola.